sabato 22 dicembre 2007

La parola a OVADIA

E' nota a tutti la parabola del lupo che si abbevera alla fonte di un ruscello e accusa l’agnello, che beve a valle, di intorbidirgli l’acqua. Rappresenta molto bene la prepotenza del più forte esercitata sul debole con un’argomentazione deliberatamente assurda. Questa mi pare la situazione che si è creata nel nostro paese in merito allo statuto giuridico delle unioni di fatto e in particolare a quelle fra omosessuali. Una parte delle gerarchie vaticane, devotissimi cattolici, teocon vari, in solido con divorziati e pluridivorziati appartenenti ad entrambe gli schieramenti politici, si oppongono ai «Dico» o a qualsivoglia altra modalità di riconoscimento pubblico delle unioni di fatto. Con argomentazioni assurde, agitano inesistenti «questioni eticamente sensibili», accusano l’agnello di intorbidare le purissime acque della morale cattolica per passare dalla parte delle vittime. La nostra legislazione tollera senza problemi che:
  • una coppia eterosessuale si sposi, divorzi e si risposi più volte
  • ogni donna o uomo possa costituire un “n-numero” di unioni matrimoniali, ciascuna con figli e dare vita a famiglie allargate con intrecci multipli
  • ciascun coniuge abbia amanti ad libitum senza che questo sia motivo di colpa nelle cause di divorzio
  • figli nati dalle nozze di un coniuge con la prima moglie convolino a giuste nozze con figli di primo letto di una seconda moglie.
Ma, se due gay, o due lesbiche che vivono insieme condividendo amore, affetto, gioie, dolori, cure, progetti chiedono una forma di unione pubblicamente sancita allora ecco che i custodi della morale strillano al vulnus contro la sacra famiglia. Moni Ovadia

Nessun commento:

Posta un commento